Marcello Fois, Stirpe
Esiste
il libro ideale da proporre ai partecipanti di un gruppo di lettura?
Pensando
agli ultimi incontri, mi viene in mente la bella discussione successiva alla
lettura di Padri e figli di Turgenev
(netta divisione tra la curva nord, entusiasta del romanzo, e la curva de “i
russi non ci fanno impazzire”) o la spassosa discussione post-Dracula tra gli aspiranti vampiri e i
lettori cerebrali ("Mai letto un romanzo gotico in passato ed ora so il perché…").
Se il gruppo accarezza il libro del mese sospirando, inevitabilmente la
discussione sarà fiacca (troppi riscontri positivi); in compenso, l’ego di chi
ha proposto il titolo crescerà a dismisura. Non a caso, il mese scorso
sono uscita dalla biblioteca saltellando.
A
sorpresa, Marcello Fois ha conquistato tutti. Sconosciuto ai più, è stato
divorato in tre giorni da Silvana, ha ammaliato Valeria, stregato Lina (che
ormai avrà già concluso la lettura dell’intera saga dei Chironi) e confermato
le inossidabili convinzioni di Marcella: gli autori italiani sono imbattibili.
Eppure questa volta non era scontato che il romanzo potesse piacere: scrittore italiano sì, ma contemporaneo,
nato a Nuoro nel 1960. Così contemporaneo che non te l’aspetti una scrittura
tanto evocativa, epica, che sa d’altri tempi. Entri in un mondo arcaico, come
fa notare Valeria, e una pagina dopo l’altra vedi l’antica Nur, campagna e roccia in
cui gli uomini avevano i ritmi dimessi del sole e delle bestie, assumere lo status di città: Nuoro. La vecchia Via
Majore diventa corso Garibaldi, l’Ufficio delle Finanze spazza via la vigna, il
rigore della Nuoro, provincia del Littorio, sostituisce l’autorità dei briganti
locali. La Storia del Continente s’intreccia con le storie delle moltitudini di
questo fazzoletto di terra, che lottano per non finire nell’anonimato.
Una
storia in cui la famiglia dei Chironi si ostina a metter radici. Orfano e dischente
di fabbro lui, Michele Angelo Chironi, frutto non riconosciuto del peccato di
una notte lei, Mercede; entrambi venuti dal Nulla combattono testardamente per
non ricadere nel Nulla.
Sarà
un’esistenza di figli amati e talvolta non capiti, di figli uccisi
barbaramente, di figli che non hanno mai visto la luce; una storia di
solitudine, di silenzi, di sguardi seri, di occhi bassi, di lunghe ore di
lavoro per forgiare il metallo. Sacrificio, dedizione, impegno: le commesse
aumentano, la bottega del fabbro diventa un’officina importante, aumentano i
denari e le disgrazie. Perché il Fabbro, Michele Angelo Chironi, sa bene che ci
vuole un attimo a contravvenire alla regola del pelo dell’acqua in cui deve
galleggiare la nostra esistenza.
Mai sotto la superficie, mai sopra, sempre solo galleggiare… Sul
filo, contro l’invidia, contro la
commiserazione. Su, troppo in alto, c’è la bestia verde e livida, che mangia
male e non digerisce. Giù, sottotraccia, c’è il buffone ridanciano vestito in
gramaglie, che con una mano ti accarezza e con l’altra ti pugnala. Chi pensasse
alla parola fatalismo si ricreda, perché non è certo di questo che si tratta.
Il particolare sentimento di cui si parla è piuttosto realismo, conoscenza
intima della propria genetica. Lì non c’è dispari, c’è solo pari. «Tu sei me»,
dicono. E, se lo dicono, vogliono intendere che «Io sono te»: quello che hai,
quello che ostenti, è una precisa sottrazione che tu fai a me. Noi siamo pari
dunque: è questo il pelo dell’acqua,
il resto è contravvenire. Se tu non sei pari, vuol dire che io sarò di volta in
volta superiore o inferiore, invidiato
o commiserato; se io non sono pari, costringerò te a venire su con me o ad
affondare. Si cammina come sulle braci ardenti, si deve procedere leggerissimi per non bruciarsi, per non far rumore,
per non farsi notare.
In
Stirpe troviamo sa Gherra, la Prima, “quella
vera”, l'avanzare del fascismo, l’omosessualità, il tradimento degli ideali politici, la
paura, la follia. Se a questo romanzo dobbiamo proprio trovare un difetto, come
dice Gianluca, è che ci sono così tante cose, perfettamente incastrate in 250
pagine, da lasciare il lettore esausto. Fois non concede un momento di tregua
neppure ai morti che, puntualmente, tornano nelle notti insonni dei loro cari
per raccontare la propria versione dei fatti. Di ogni episodio ascoltiamo le
chiacchiere del paese e la verità di chi ha vissuto quella vicenda in prima
persona (espediente narrativo che è molto piaciuto a Beatrice). E se è vero che
conversando in biblioteca ci siamo soffermati prevalentemente sui momenti di
maggiore sofferenza che caratterizzano il romanzo, è altrettanto vero che
nessuno di noi ha chiuso il libro con il cuore pesante. Perché di questa storia
tutti abbiamo percepito anche le risate non raccontate.
Eppure non si ha idea di quanti momenti felici si siano vissuti
in quella casa, e non si ha idea di quanta disperazione sia stata risparmiata
alla sua famiglia in questa stagione terribile. E quante risate, certo. È
possibile che nei racconti le risate siano meno interessanti dei pianti, perché
a noi ci piace la passione che si annida dentro alle sventure, ma risate ce ne
sono state, e quante. Sarebbe uno sgarbo a Dio dire che dentro alla casa del
maestro del ferro non è entrata mai la felicità.
“È
una storia inventata, ma anche vera. Appeno posso la ricomincio da capo”, dice
Fois nei ringraziamenti finali. Il lato positivo nell’aver scoperto un bel
romanzo a distanza di qualche anno dalla pubblicazione è che l’autore, nel mentre,
s’è dato da fare.
L’estate
è alle porte e il Consorzio bibliotecario di Castelli romani possiede sia Nel tempo di mezzo che Luce perfetta: basta prenotarli.
Marcello Fois, Stirpe, Einaudi, 2009.
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