Il commesso, Bernard Malamud


Nel periodo estivo bisogna essere molto tenaci per restare un paio di ore nella biblioteca di Ciampino: il rischio di passare dallo stato solido, nel momento in cui si varca la soglia della sala consiliare, alla pozzanghera, a fine discussione, è elevato. Così, giovedì scorso, in un incontro tra pochi intimi, temperatura percepita 87 gradi, abbiamo tentato di trovare refrigerio nel gelido inverno della Manhattan raccontata da Bernard Malamud.
Scrittore americano di origine ebraica, vincitore del Pulitzer e del National Book Award per la narrativa, autore di numerosi racconti, eppure poco conosciuto in Italia, almeno fino a quando la casa editrice romana minimum fax ha deciso di ripubblicarlo. Da quel momento, anche da noi, è stato tutto un fiorire di articoli su quanto fosse potente la scrittura di Malamud, sul suo stile limpido e ironico e sulla sua attenzione al dettaglio.

A voler sintetizzare Il commesso (nella traduzione di Giancarlo Buzzi) non si capisce perché dovrebbe essere il suo capolavoro. In fondo, è solo la storia di Morris Bober, un commerciante ebreo un po’ sfigato che conduce una vita misera, tutta dedita alla sua botteguccia nel cuore di Manhattan, a una moglie, Ida, sempre pronta a lagnarsi per l’assenza di soldi e alla figlia ventitreenne, Helen, che ha dovuto rinunciare agli studi per aiutare la famiglia a sbarcare il lunario. Un bel giorno, arriva il commesso, Frank Alpine, un altro sfigato che nella vita ha preso spesso la strada sbagliata ed ora ha deciso di riscattarsi e di “utilizzare” la bottega di Morris per intraprendere la faticosa via dell’onestà.
Tutto intorno c’è un cielo grigio, un vento che porta via, giornate di neve pesante, la primavera che stenta ad arrivare.
Tutto qui? Se il romanzo si esaurisse nel racconto dei fatti, non si spiegherebbe perché siamo rimasti due ore in biblioteca a parlare della gentilezza d’animo del povero Bober, di cosa sia un buon ebreo e a cercar di capire cosa si nascondesse veramente dietro la circoncisione di Frank al termine del romanzo. Tiziana non riesce a farsene una ragione. Perché, perché l’ha fatto? Cosa voleva dimostrare? Il definitivo passaggio dal vecchio Frank al Frank redento grazie all’esempio di Morris, a cui vuole idealmente dare una nuova vita? O, forse, (e qui Tiziana ci va giù pesante), il ritorno ad una forma religiosa più intransigente, più severa, mica come con il cattolicesimo dove con una confessione condoni gli errori commessi e festa finita. Sì, ma non è che per diventare ebreo basta una circoncisione. Non è appuntandoti una stelletta sulla giacca che diventi qualcun altro, ribatte Luigi, che non sembra aver grande simpatia per Frank. 
Lo fa anche per Helen, sostiene Rita; il caldo l’ha resa romantica. Le piace molto Helen, rivede in lei i suoi sogni di gioventù; ma qui parte subito un dibattito su quanto la figura di Helen sia rinunciataria, troppo malinconica, o se non sia, invece, una donna forte, che riesce a sfuggire da una madre opprimente, fissata con l’idea del buon matrimonio (buono per le sorti economiche della famiglia, non di certo per il futuro di Helen).
Fabiana non condivide troppo il punto di vista di Rita; parla a ruota libera, con passione, come fa sempre quando c’è di mezzo uno scrittore americano. E si sofferma sullo stile: essenziale ma minuzioso. Per capire cosa abbia scatenato Malamud nell’animo della lettrice Fabiana, cito un suo messaggio durante la lettura: “una storia che ti fa venire voglia di sapere come va a finire; un armonico concatenarsi di eventi che punta il riflettore sulla profondità dell’individuo”. Non poco.   
E poi c’è il commesso. Già, il commesso. Posso confessare di aver atteso l’incontro con il gruppo per avere un altro punto di vista. Perché, dovete sapere, che io non ho fatto altro che pensare a Morris durante e dopo la lettura. Di Frank mi sono fatta un’opinione non troppo lusinghiera, rimasta tale fino all'ultima pagina, con o senza circoncisione.
Il commesso è l’elemento scatenante di tutto, senza Frank non sarebbero stati innescati una serie di meccanismi che hanno portato il romanzo verso una certa direzione. Ha ragione Rita Bertelli (che, tra l’altro, non avendo terminato il romanzo, avrà forse perso il gusto della lettura, avendolo sviscerato insieme fino all’epilogo); il commesso apparentemente non è il personaggio principale, ma senza di lui non ci sarebbe stato il romanzo.  
Eppure, eppure… Ma, una volta chiuso il libro, chi è che vi è rimasto nel cuore?
Morris, dice senza esitazione Lina; però lo zio faceva il negoziante, quindi Lina è un po’ di parte, ed inevitabilmente finisce con il confrontare le sventure della botteguccia di Morris, asfissiata dalla concorrenza, con il crollo delle piccole attività nostrane quando arrivarono supermercati e centri commerciali.  
Neanche Tiziana esita: è Frank ad aver toccato le sue corde. Poi, vogliamo parlare del fatto che lui ed Helen s’incontrano in biblioteca e la loro storia, in fondo, nasce tra i libri? Sì, Tizià, ma diciamo pure che quel furbastro di Frank ci stava provando, e s’era studiato bene il personaggio. Sapeva come colpire Helen.
Certo però che la scena dello stupro è forte. Non me l’aspettavo, ci sono rimasta male. E Lina fa una faccia che avreste dovuto vederla. Abbiamo annuito tutti.
Insomma, equiLibristi assenti, avete perso un incontro interessante e divertente. Però, mentre il nostro corpo si scioglieva e Rita Bertelli iniziava a vedere doppio, una parte di noi ha invidiato mare, monti e l’aria condizionata dei luoghi in cui (forse) siete immersi nella lettura de Il commesso.
  

Se avete letto una vecchia edizione del romanzo, qui potete trovare la prefazione di Marco Missiroli (nell’edizione della minimum fax) che a Silvana, e non solo, è piaciuta molto.
Se Bernard Malamud vi ha incuriosito e cercate altri spunti di lettura, consiglio quest’articolo dell’americanista Luca Briasco.
Se non avete letto Il commesso e volete farvelo raccontare, potete approfittare di Ad alta voce.
Qui, invece, trovate i miei appunti di lettura.

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