Il mea culpa della coordinatrice: Lo straniero di Albert Camus e altre divagazioni
La
coordinatrice del gruppo di lettura sa bene che, al termine dell’incontro in
biblioteca, bisogna buttar giù un paio di riflessioni a caldo, sensazioni,
parole chiave, umori, malumori, idee ferocemente intelligenti. Se non lo si fa
subito, puf!, il resoconto
dettagliato dell’incontro svanirà, alcune voci si confonderanno e di altre
resterà solo un vago ricordo. La coordinatrice ne è consapevole e cerca di non
lasciarsi distrarre dal libro lasciato sul divano, l’ultima mail, il nuovo
progetto. Ma…
Ma, tornata dalla biblioteca, mentre rifletteva sulle diverse
interpretazioni de Lo straniero di Albert Camus, le cadde l’occhio
sul pacchetto di libri, ancora intonso, consegnato dal corriere nel pomeriggio.
Frutto di un acquisto impulsivo e sconsiderato (con tutti quei libri da leggere, come ti viene in mente di comprarne
altri?), aspettava la scatola già da qualche giorno. “No, dai lo apro
domani. Vabbè, no, lo apro subito, giusto per dare un’occhiata ai volumi ma poi
mi concentro sul resoconto”. Fu così che la coordinatrice cadde nell’Odissea.
Proprio quella di Odisseo, ripercorsa attraverso le pagine di Daniel Mendelsohn, professore
universitario americano, con un’evidente passione per l’insegnamento, per la
filologia e per i poemi omerici. Nel gennaio 2011 Daniel Mendelsohn tiene un
seminario sull’Odissea (della durata
di un semestre) per gli studenti del primo anno del college di Bard (New York).
Seduto tra le matricole diciottenni, c’è anche un uditore: l’ottantunenne Jay
Mendelsohn, padre dell’autore, ricercatore scientifico in pensione.
Gli
equiLibristi curiosi potranno leggere un estratto del libro qui. Va da sé che la coordinatrice ne ha già suggerito l’acquisto
alla Biblioteca di Ciampino.
I
commenti degli studenti americani che leggono l’avventuroso errare di Odisseo,
riportano la coordinatrice agli incontri in biblioteca e alla fatidica domanda
che accompagna letture e riletture di un classico: “È un libro attuale? Lo
consigliereste ai vostri figli/nipoti? Amanda, Fabiana lo fareste leggere ai vostri
studenti?”.
Ovviamente, la coordinatrice non sta paragonando Albert Camus a
Omero, ma la colpiscono le osservazioni dei diciottenni sull’epica greca
(riportate nel libro di Mendelsohn), così come era rimasta colpita
dall’entusiasmo della giovane Beatrice mentre parlava dello straniero Meursault, protagonista del romanzo di Albert Camus. Un uomo senza
coordinate, apatico, privo di empatia, impiegato in un ufficio
di Algeri e che vive una vita di
passaggio (citando Tiziana). Un uomo freddo che non riesce a piangere al
funerale di sua madre; nulla, neanche una lacrima.
Ho pensato che era sempre un’altra domenica passata, che adesso
la mamma era seppellita, che avrei ripreso il lavoro; e, tutto sommato, non era
cambiato nulla.
Un
uomo che, per puro caso, in un torrido pomeriggio estivo, ammazza un
arabo.
Mi è parso che il cielo si aprisse in tutta la sua larghezza per
lasciar piovere fuoco. Tutta la mia persona si è tesa e ho contratto la mano
sulla rivoltella. Il grilletto ha ceduto, ho toccato il ventre liscio
dell’impugnatura ed è là, in quel rumore secco e insieme assordante, che tutto
è cominciato.
Meursault
(il cui nome contiene già la morte: meurs=muoio)
viene arrestato, processato e condannato a morte più per non aver pianto al
funerale di sua madre che per l’assassinio dell’arabo. Una giustizia che non è
giustizia, come commenta Silvana.
100
paginette scarse in cui si concentrano caldo
e freddo (per dirla con le parole di Rita): lo sfolgorio rosso della sabbia
infuocata e il soffio caldo del vento sul viso, insieme alla fredda
indifferenza del protagonista verso qualsiasi cosa, morte inclusa. L’assurdità
del vivere e, per qualche equiLibrista, anche l’assurdità del romanzo e
l’inspiegabile consegna di un premio
Nobel. Un coro di no (troppo cupo,
troppa angoscia, troppo irreale, troppa fuffa) delle lettrici più mature che
ha sorpreso la coordinatrice. Si aspettava una simile reazione da parte dei
lettori più giovani del gruppo (solo il silenzio di Renata ne è stata una
conferma parziale) e invece, ancora una volta, è rimasta spiazzata dalla
discussione. Contrariamente alle aspettative, la ventiseienne Beatrice chiude l'incontro dicendo: “È un romanzo in cui mi sono ritrovata:
molti ragazzi sono così, si lasciano vivere, aspettano che le cose accadano.
Camus raccontava negli anni Cinquanta la solitudine e l’apatia di oggi. A mio
giudizio, il romanzo più bello letto fino ad oggi dal gruppo”.
Per
farsi perdonare per questo tardivo resoconto anomalo, in cui letture personali
intersecano riflessioni scaturite dagli incontri del gruppo di Ciampino, la
coordinatrice regala (?) agli equiLibristi le parole di Albert Camus tratte
dalla prefazione di un’edizione universitaria de Lo straniero:
«Ho
riassunto Lo straniero, molto tempo fa, con una frase che riconosco
essere paradossale: "Nella nostra società qualsiasi uomo che non pianga
alla sepoltura della propria madre rischia di essere condannato a morte".
Volevo dire soltanto che l'eroe del libro è condannato perché si sottrae ad
ogni gioco. In questo senso, è straniero alla società dove egli vive, erra,
emarginato, nella periferia di una vita privata, isolata, sensuale. Ed è per
questo che alcuni lettori sono stati tentati di considerarlo come un relitto.
Meursault non sta al gioco. La risposta è semplice: rifiuta di mentire.
(...)
Non ci
si sbaglierebbe molto leggendo ne Lo straniero la storia di un uomo
che, senza alcuno atteggiamento eroico, accetta di morire per la verità.
Meursault per me non è dunque un relitto, ma un uomo povero e nudo, innamorato
di un sole che non fa ombra. Lungi dall’esser privo di qualsiasi
sensibilità, è attanagliato da una passione profonda: la passione dell'assoluto
e della verità. Si tratta di una verità ancora negativa, la verità di essere e
di sentire, ma senza la quale nessuna conquista su sé stessi e sul mondo sarà
mai possibile.»
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